Cultura

La Galleria Solito inaugura il 2025 con “Uncut”

La Galleria Solito inaugura il 2025 con Uncut”, il solo show dell’artista britannica Grace Lee (Regno Unito, 1995). Per la prima esposizione italiana, l’artista presenta una selezione di lavori inediti realizzati per S1, la Galleria principale del gruppo Solito, nel complesso dell’ex Lanificio di Porta Capuana.

La mostra è introdotta e curata da Vincent Vanden Bogaard.

Per questo progetto Lee ha scelto come punto di partenza l’immagine di una scena di un film iconico: la testa di uno squalo che emerge dal mare di fronte ai bagnanti su una spiaggia. La scena è tratta da Lo squalo (1975), il celebre film di Steven Spielberg.

L’artista ha sviluppato un forte concetto di reinterpretazione di scene e fotogrammi dal set del film, rivedendo al contempo la storia dell’arte classica, moderna e contemporanea: Giotto (1267-1337), Giorgio de Chirico (1888-1978), Alex Katz (1927) o David Hockney (1937), per citarne alcuni. L’idea non è di porre lo spettatore nella condizione di chiedersi “cosa rimanda a chi”, ma mettere in discussione il nucleo della pratica pittorica dell’artista; Lee sfida il pubblico con una duplice lettura e lo invita a interagire con l’opera d’arte su più livelli, contestando sia il mezzo espressivo storico della pittura sia le narrazioni che descrive.

Il nucleo dell’esposizione è una ricca narrazione che ruota attorno allo status di culto de Lo squalo e all’inconscio collettivo associato al suo mito cinematografico. Il “mostro marino” – un simbolo ricorrente riconosciuto in tutte le culture – offre un efficace spunto di discussione sul mare, la costa e l’esperienza umana di svago e pericolo. La scelta di Lee di centrare il proprio lavoro attorno a questa immagine emblematica consente di destreggiarsi tra temi complessi in cui il pubblico in generale può riconoscersi. Senza contare che lo squalo di per sé non rappresenta la paura, ma incarna il concetto di un’“ombra invisibile” che aleggia intorno a noi, come il peso della nostra storia, la nostra caducità e le storie che intrecciamo intorno a ciò che si trova appena fuori dalla nostra vista.

Una caratteristica specifica dell’esposizione è che Lee ha scoperto per la prima volta l’immagine in bianco e nero della scena del film sul web, da adolescente e prima ancora di aver visto l’intero film. La tecnologia, e quindi internet (con la sua gratificazione immediata, la promessa di una conoscenza universale e “l’accesso a tutto”), rappresenta per Lee tanto il contesto per il proprio lavoro quanto la storia stessa della pittura che ne deriva. Questa duplicità è rappresentata nei pixel sgranati ricreati in gotcha!, un’esclamazione che si riferisce a qualcuno colto in fallo o ingannato, o nel titolo GRWM (“Get Ready With Me”), un acronimo comune sui social per video-tutorial in cui si presenta il tipo di trucco che si sceglie di sfoggiare accompagnato da storie personali, riproposto qui però in un momento di pericolo.

L’ossessione autodefinita di Lee per quell’immagine (come dimostra la sua ripetizione omofona e scherzosa in J’Adore) è forse un prodotto dell’era digitale che promette “di più, più velocemente e subito”; rappresenta la frustrazione che poi proviamo quando ci viene negata, proprio come succede per il pubblico del film che viene ripetutamente privato di una visione chiara del predatore, che invece appare per brevi istanti e sempre in spruzzi di onde. Di quell’immagine Lee dice: «Quel momento, l’intera esistenza è lì; quell’attimo in cui ci sei giusto prima di scomparire. Ingoiato in un solo boccone, mangiato, svanito». Un’interpretazione cruda che è simultaneamente in contrasto con l’intensità di una sequenza gioiosa, portando a compimento l’esperienza umana.

Mentre Lee si fa strada tra le complessità della cultura contemporanea, bilancia abilmente lispirazione da fonti diverse attraverso un dialogo radicato nella storia dell’arte. Uncut è un invito a esplorare l’intricata relazione tra immagine, memoria e contesto dell’evoluzione artistica nell’era digitale. Attraverso il lavoro, Lee riafferma il potere duraturo della narrazione visiva e il suo posto all’interno della narrazione più ampia dell’arte contemporanea.

Nel tempo, e insieme a fonti di ispirazione alimentate da molteplici mezzi espressivi, Grace Lee è entrata a far parte della generazione post-internet, trovando un equilibrio istintivo col passato ed esplorando la tradizione storica e culturale. (VVB)

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