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Riforma Cartabia, un forum a Caserta

“In Italia la giustizia è lenta e costosa e gli effetti della riforma Cartabia, se ci saranno, ancora non si vedono”. Ne è convinto Sergio Veroli, Presidente di Consumers Forum, rimarcando come “una causa civile dura cinque o sei anni e la class action, introdotta pochi anni fa nel nostro ordinamento, al contrario di quella americana è difficile da attuare, molto costosa e il rischio di soccombere e pagare le spese processuali è molto elevato”.

L’occasione è data dal convegno “La riforma Cartabia un anno dopo”, tenutosi nei giorni scorsi nella Biblioteca Diocesana di Caserta, in cui illustri esperti del settore legale hanno analizzato le ricadute sociali nel mondo dei consumatori e le criticità del nuovo processo civile italiano. L’evento, organizzato dalla Camera Civile di Santa Maria Capua Vetere con la collaborazione della Federconsumatori di Caserta, ha posto il focus sullo stato attuale della giustizia civile italiana, evidenziando la necessità di ulteriori interventi e miglioramenti per garantire un sistema più efficiente e accessibile per tutti i cittadini.

GIUSTIZIA E CONSUMATORI

“Rimane il sistema delle ADR, cioè il sistema delle conciliazioni e degli arbitrati gestite dalle Authority, la mediazione, e la negoziazione assistita”, ribadisce Veroli che spiega: “Le associazioni dei consumatori attraverso protocolli stipulati con le aziende, energetiche, telefoniche, bancarie, ferroviarie, poste e così via gestiscono le negoziazioni paritetiche che non prevedono un mediatore, sono veloci e praticamente gratuite. Il problema è che solo una piccola parte di quei cittadini che subiscono truffe e vessazioni da parte di alcune aziende decide di far valere i propri diritti e il motivo principale di tale debacle è che i cittadini non sanno come fare, sono sfiduciati e non credono più nella possibilità di avere giustizia”.

“Le Authority, in particolare l’Antitrust, molto spesso intervengono sanzionando le imprese non virtuose, ma l’importo massimo della sanzione erogabile non rappresenta un deterrente per le grandi aziende e il danno reputazionale non basta”, ribadisce Veroli.

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