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Armando De Stefano: Storie e metastorie al museo Diocesano

Armando De Stefano: Storie e metastorie al museo Diocesano


La mostra, in contemporanea con quella di Botticelli è visitabile dal 30 novembre e fino al 30 gennaio in un dialogo con la collezione seicentesca del complesso monumentale di Donnaregina.

Il ciclo pittorico Chameleons, datato tra il 2002 e il 2008, raccoglie parte della prima produzione del nuovo millennio di Armando De Stefano (Napoli 1926-2021) ed è costituito da un corpus di lavori che, in continuità ideale con le serie precedenti, ribadisce l’urgenza di affrontare nel presente, impastando segno e colore, drammi e tematiche universali. La metamorfosi, il trasformismo, la maschera, il doppio, già da tempo oggetto di riflessione, diventano qui soggetto unico e privilegiato, determinante per denunciare la débâcle etica, politica e sociale riferita a un tempo indistinto, ma che appartiene tanto alla storia quanto al presente, se non addirittura a un possibile scenario futuro, abitato da quelle forme meccaniche che già compaiono nella produzione di questi anni. Le fonti della pittura di De Stefano risultano ben più complesse di quell’ampio e colto catalogo visivo – dal Seicento a Morelli a Gemito -, a cui l’artista ha avuto accesso dagli anni della formazione in poi, studiando prima al Liceo artistico e poi, con Emilio Notte, all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove insegnò Pittura dal 1950 al 1992. Si radicano, difatti, in una consuetudine ad abitare e ad attraversare strade e piazze, a visitare le chiese di Napoli, che sin dall’infanzia gli hanno parlato della storia e delle storie, di violenza, soprusi, oppressioni, emarginazione e dei destini tragici di individui, di un popolo e dei suoi eroi-antieroi, dando luogo ad apparizioni figurali che scandagliano il piano socio-politico, quello psicologico e quello allegorico-simbolico. La straordinaria perizia nel mescolare registri colti e popolari si traduce in un repertorio inesauribile di immagini che esprimono il tragico con estrema crudezza. A partire dalla metà degli anni Cinquanta, accanto all’interesse per il realismo della sua prima produzione, emerge una diversa figurazione che lo induce a rileggere il Seicento napoletano attraverso la ‘rallentata presa caravaggesca’ dei contrasti cromatici di Battistello, il ‘tremendo impasto’ riberesco e la grazia del segno di Cavallino. Una sensibilità che De Stefano negli anni trasforma e complica, ma non abbandona neppure quando, confrontandosi con la modernità di Francis Bacon, incontrato nel 1962 alla Biennale di Venezia, avvia un processo di scarnificazione della figura, che, tuttavia, non vaporizza né dissolve. Torna, invece, prepotente nei romanzi scenici e nelle sequenze pittoriche dei piani e contropiani cinematografici con cui l’arista compone tutta la successiva produzione, dai noti cicli novecenteschi, dedicati a Marat, Masaniello, alla Rivoluzione napoletana, fino a quella più tarda. 

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