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Il Cinema di Mimmo Paladino. Fotografie di Pasquale Palmieri a Villa Campolieto

Giovedì 22 giugno, alle ore 17, sarà inaugurata nella splendida Villa Campolieto ad Ercolano, la mostra Il Cinema di Mimmo Paladino. Fotografie di Pasquale Palmieri a cura di Maria Savarese. Il progetto espositivo, che sarà visibile fino al 17 settembre, è co – prodotto dalla Fondazione Campania dei Festival, Film Commission Regione Campania, dalla Fondazione Mannajuolo, dall’Associazione Culturale Archivi della Memoria e realizzato grazie alla collaborazione dell’Ente Ville Vesuviane.

La mostra, presentata per la prima volta in anteprima nazionale in occasione dell’edizione 2023 del Campania Teatro Festival, nasce con l’intenzione di fare un punto sul lavoro filmico di Mimmo Paladino, cominciato nel 2006 con Quijote, fino al recente La Divina Cometa. La riflessione e storicizzazione di tale segmento specifico della sua produzione artistica è resa possibile grazie al lavoro di Pasquale Palmieri, fotografo di scena di tutti i suoi film, accanto a Paladino, sin dai tempi dell’università, in un percorso narrativo e di documentazione della sua ricerca.

 

L’esposizione allestita nelle sale del primo piano della villa vanvitelliana, che nel tempo accolto  importanti progetti artistici, come la mostra della collezione Terrae Motus,creata nella prima metà degli anni Ottanta dalla lungimiranza del gallerista napoletano Lucio Amelio, dove era presente lo stesso Mimmo Paladino, presenta una selezione di 45 fotografie di scena di grande formato a colori,a cui si affiancano altrettante in bianco/nero di più piccole dimensioni dei vari backstage. Attraverso un allestimento non cronologico ma tematico relativa ai vari film, Palmieri restituisce il complesso e variegato rapporto di Paladino con il cinema, che ha origine dalla curiosità di un pittore che lavora con le immagini e cerca sempre nuovi strumenti espressivi. Fotografando i lungometraggi Quijote (2006),La Divina Cometa (2022) e i corti Labyrintus (2013) e Ho perso il cunto (2017), il fotografo si sofferma in particolare sulle varie fasi della lavorazione, dalla ricerca delle location, al dialogo con gli attori, con i tecnici e le maestranze,riuscendo ad intercettare l’anima dei film attraverso sequenze “senza movimento” e l’immagine di tutto ciò che sta dietro alla macchina da presa, che resterebbe altrimenti segreto e sconosciuto.

La fotografia di scena – afferma la curatrice Maria Savarese – è qualcosa che va oltre gli scatti posati e il backstage, appare quasi come un’etnografia visiva del set cinematografico, necessaria a cogliere aspetti e dettagli della vita quotidiana del lavoro filmico, è proprio in questo senso che il racconto  di Pasquale Palmieri risulta unico e determinante, non solo nella sua capacità di svelare, attraverso le immagini, la costruzione dell’opera cinematografica di Paladino, ma nella sua peculiarità di ricostruire un particolare ambito della cultura contemporanea della nostra regione, quello dell’area del Sannio, aggiungendo un’ulteriore tessera al grande mosaico degli archivi fotografici privati, immensi patrimoni da conoscere, tutelare e valorizzare.”

L’archivio fotografico di Pasquale Palmieri è composto da circa 50.000 negativi dall’inizio degli anni Ottanta alla metà degli anni Zero che documentano il mistero della nascita di un’opera d’arte nello studio di molti artisti, in primo luogo Mimmo Paladino, ma anche di altri autori come Luigi Mainolfi, Perino e Vele, solo per citarne alcuni, esso è costituito anche da100.000 fotografie digitali relative all’ultimo ventennio.

Per me– dice il fotografo- uno stage con il più grande fotografo del mondo non sarebbe stato più formativo della frequentazione di un grande artista. Il contatto con la creazione della bellezza mi bastava per definire la mia visione del mondo. Ho conosciuto l’importanza del dubbio, dell’incertezza, dell’imperfezione, del vuoto che precede la creazione, del non finito, delle zone d’ombra dell’arte nel suo farsi. Ma non c’era bisogno di parole: la comunicazione con l’artista avveniva per osmosi. Ho compreso quanto l’opera finita sia distante dal momento in cui si genera, e quanto diventi potente nell’attimo in cui si libera dal suo artefice, raccontando cose a cui neppure l’artista pensava”.

Il catalogo della mostra, realizzato con la direzione artistica di Luca Stoppini Studio, è edito da Art’em.

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