Fabrizio Prevedello, la mostra Mani alla Galleria z2o Sara Zanin
z2o Sara Zanin presenta, sabato 24 settembre, Mani, prima mostra personale in galleria di Fabrizio Prevedello, accompagnata da un testo critico di Antonio Grulli.
La ricerca di Fabrizio Prevedello (Padova, 1972), da tempo rivolta all’investigazione del paesaggio e del rapporto con esso, si sviluppa a partire da una vasta gamma di materiali – marmi di recupero, ardesia, onice ma anche cemento armato, vetro e gesso – spesso prelevati direttamente dal paesaggio, in particolare quello delle Alpi Apuane, dove l’artista ha scelto di risiedere. L’approccio di Prevedello alla scultura si nutre delle suggestioni di un passato attualizzato attraverso un’intuizione consapevolmente rivolta alla riconfigurazione dello spazio e, con esso, della percezione dei luoghi che attraversiamo.
Per Prevedello, paesaggio e architettura intrecciano un rapporto singolare in cui si affacciano le connotazioni simboliche di una natura da intendersi come Genius Loci. Molte sculture nascono a partire da frammenti raccolti nei luoghi che l’artista attraversa camminando; i frammenti vengono combinati, assemblati o isolati, in strutture realizzate con materiali da costruzione, come cemento armato e ferro, dando vita a combinazioni inaspettate di elementi che abitano lo spazio. Il dialogo tra materiali industriali ed elementi naturali si realizza così attraverso un equilibrio, costantemente rimodulato da rapporti di forza, che dà vita a una ricerca rivolta allo spazio e allo spettatore.
Il titolo scelto per la mostra, Mani, reindirizza esplicitamente verso un orizzonte in cui l’abbassamento dello sguardo, rivolto alle estremità degli arti, riporta al centro del discorso la presenza umana e, con essa, l’attenzione verso quell’operosità demiurgica che fa di ogni essere vivente il tramite privilegiato per un nuovo approccio dello sguardo.
Per Prevedello la scultura diventa un dispositivo che riconfigura la visione di un luogo: è così che, per esempio, Cerchio (243), scultura a parete in ferro, marmo e vetro, apre la mostra presentandosi come un vero e proprio dispositivo del vedere, uno spazio, circoscritto da un cerchio dato dalla sovrapposizione di tre poligoni, che idealmente suggerisce una finestra/oblò davanti o dietro a cui siamo posti per un’osservazione privilegiata di ciò che ci circonda. Cerchio è anche un paesaggio che, alla stregua della finestra albertiana, suggerisce una profondità data dalle diverse stratificazioni delle lastre di vetro. Lo spazio, così centrale nella riflessione sulla scultura, in queste opere si costruisce così per giustapposizione di elementi di diversa solidità, allo stesso tempo fragili e resistenti, effimeri, apparentemente precari, in grado di visualizzare l’interrelazione tra narrazioni fisiche e mentali.